di Giuseppe Tranchese
La storia ci rammenta quanto il mondo umano si sia sempre mosso verso la catastrofe e ciclicamente si ripetono epoche che sembrano darne conferma. Sentendo l’avvicinarsi dei periodi e dei mali oscuri, moltissimi si rifugiano nelle idee. Se da un lato si è portati a credere che un’ideologia possa consentire di risolvere una crisi, dall’altro si finisce col prendere atto che spesso la stessa ideologia ostacoli il contatto diretto con la realtà e quindi impedisca di agire o produca azioni disequilibrate.
Diciamo di volere, fortemente, un mondo salubre ed in pace, ma in realtà non andiamo al di là delle parole, al di là del livello del pensiero che, orgogliosamente, chiamiamo livello intellettuale oppure mettiamo in atto misure drasticamente repressive e in taluni casi sbilanciate.
La salute, la salubrità ambientale, la pace dovrebbero essere non solo parole ma concretizzarsi nei fatti, se mai fossimo capaci di allontanare la confusione che contribuiamo, noi stessi, a produrre.
Ci preoccupiamo realmente di questi grandi obiettivi umani oppure diamo la priorità alla creazione di afinalistiche ed incoerenti teorie sociali e politiche? Le quali, tra l’altro, puntano ad arginare (forse) gli effetti dell’inquinamento e delle guerre ma non a porre fine alle loro cause.
Ad esempio, piuttosto che agire sulla conversione e sul riequilibrio degli allevamenti intensivi, sul blocco delle deforestazioni, sul controllo capillare della vendita di animali selvatici, sul drastico monitoraggio dell’urbanizzazione selvaggia e dell’estrattivismo incontrollato, sul lavoro di riassetto, rispetto e realizzazione delle norme che regolino le disparità e le disuguaglianze sociali ed economiche, si sposta l’attenzione sull’ideologia delle discriminazioni e delle fobie. In questo modo commettiamo due gravi errori: in primo luogo, nel prendere a modello solo gli stereotipi negativi del passato, eludiamo il valore educativo ed esperienziale della storia; poi, soprattutto, perdiamo di vista il ruolo centrale dell’attualità presente nella quale qualsiasi soluzione resta legata e fortemente condizionata dagli errori del passato. Tali condizionamenti che chiamiamo conoscenze, esperienze, dovrebbero guidarci nell’interpretazione dei fatti, invece, il più delle volte, contribuiscono solo ad aumentare il conflitto tra ciò che è attuale, presente e ciò che è l’esperienza legata al passato, immobilizzandoci.
L’imperativo categorico è recuperare il filo perduto della conoscenza reale ed attuale, quella data dall’alta sfera umana della volontà, del principio dell’agire sui fatti, che riporti al centro l’equilibrio tra l’essere umano e tutto l’ecosistema. Spezzare questo filo significherà non risolvere i problemi ma rafforzarne le condizioni che li hanno creati: non dobbiamo restare sgomenti se oggi siamo schiavizzati da un virus e domani potremo esserlo da un attentato terroristico o da un’altra forma di ciclica dinamica distruttiva!
Fonte: https://www.ildenaro.it/il-filo-perduto-della-conoscenza/